Pensare con gli animali
Pensieri sparsi attraversati da tracce animali, nel mio bosco di scatoloni e furgoni.
In queste settimane non ho fatto granché, che poi non è vero, ma questa è la mia percezione. Mi sembra di non aver fatto niente perché ho vissuto nel limbo di un ennesimo trasloco imminente. Per auto-convincermi di vivere una vita molto diversa da quella che percepisco vi metto subito il link alle ultime puntate di La Bella e le Bestie, puntate nelle quali ho parlato di tutto, dal cibo a base di insetti ai metalupi, e persino di fertilità nel cane e nell’eterocefalo glabro.
No, non è stato de-estinto nessun Enocione. L’Enocione non era un lupo. No, non era bianco. È bianco perché si tratta di una operazione di marketing, e in Game of Thrones quei metalupi sono bianchi. Sì, è una geniale operazione di marketing e finanziaria.
Potrebbe interessarvi anche questo mio primo esperimento come coautrice di una serie di documentari. Si chiama Untamed journeys (viaggi selvaggi) e in questo momento è molto lontana da ciò che avevo pensato inizialmente, per tanti motivi. Nel prossimo futuro però potrebbe prendere forme più aderenti a quella che è la mia relazione con la natura, perciò se siete frequentatori di YouTube, iscrivetevi al canale. Il primo episodio è anche andato in onda su Rai Tre, in versione ridotta, domenica scorsa.
In queste settimane che ci hanno separati temporalmente, ho anche preso diversi appunti, e tra questi ne ho ritrovati tre un po’ sinistri: smaterializzazione del mondo, Homo loquens e Pensare con gli animali. Ci ho messo un po’ a capire perché mi fossi salvata queste parole, ma poi ho ricostruito il pensiero che li aveva legati.
Per lavoro, da anni, parlo tantissimo. Ho presentato - appunto - un libro con Michele Serra poco tempo fa, Leggere gli alberi, di Tristan Gooley, e l’autore difende con chiarezza il suo rifiuto della sistematica, cioè la necessità, tutta scientifica, di dare un nome latino a ogni essere vivente. Secondo Gooley per comprendere gli alberi, e comprenderne la vita complicata, più che complessa, è sufficiente osservarli con attenzione, e annotarne le macro-caratteristiche. Nelle Scienze Naturali dare un nome a ogni cosa è pratica non discutibile. Immaginate la vita sulla Terra, ma anche ogni altra manifestazione rocciosa e chimico-fisica della Terra, come un immenso catalogo. Senza quel catalogo, la scienza non può essere fatta, e gli scienziati non si possono parlare.
Allora mi sono messa a pensare al linguaggio. Il linguaggio umano, in una qualche misura, ha progressivamente separato la nostra specie dalla realtà fisica e relazionale del mondo naturale. Mi spiego meglio: viviamo in un’epoca in cui l’esperienza diretta della materia - animali, ecosistemi, morte, relazioni - viene costantemente mediata, rimossa, tradotta in simboli, dati, algoritmi. Questa smaterializzazione è sia tecnologica che culturale. Il mondo è ridotto a qualcosa da rappresentare, astrarre, ottimizzare, e perde il suo senso di luogo da abitare e del quale fare esperienza. La morte viene nascosta ed evitata, la natura è ridotta a risorsa, gli animali sono meme, mascotte o nomi su un catalogo. A volte numeri, oltre che nomi.
In questo processo, il linguaggio - una delle nostre facoltà più distintive - gioca un ruolo importante. L’Homo loquens, l’uomo parlante, è colui che costruisce mondi attraverso i segni, che narra e struttura l’esperienza attraverso i simboli. Ma se il linguaggio è ciò che ci distingue, è anche ciò che ci isola. Le parole, i nomi, diventano un recinto. Separano. Ci permettono di parlare del mondo senza più essere nel mondo. da strumento per costruire relazioni, il linguaggio può diventare strumento di dominio e distanziatore.
E qui si apre la domanda: possiamo ancora parlare con il mondo, invece che solo del mondo?
Gli animali non sono importanti perché sono buoni da mangiare, ma perché sono buoni da pensare.
La proposta di Lévi-Strauss acquista così un significato profondo. Pensare con gli animali, e non agli animali, significa recuperare (credo) una modalità di conoscenza che non separa, non crea gerarchie e non riduce. Significa (penso) rientrare nel mondo sensibile, reintegrarsi in una rete di relazioni materiali, simboliche e affettive. Lévi-Strauss non propone un ritorno ingenuo alla natura, ma una decostruzione della centralità esclusiva dell’Homo loquens, come unico detentore di senso. Pensare con gli animali significa accettare che intelligenza, ordine e significato esistano anche al di fuori del logos umano.
Nel momento in cui il mondo si fa algoritmo, la materia si dissolve nel cloud, e l’uomo diventa metro di misura di tutte le cose, recuperare un pensiero che tenga conto degli animali, della loro presenza viva, diventa un atto abbastanza radicale. Fondamentalmente nella perdita - tutta occidentale - del nostro posto nel mondo, del nostro ruolo nella natura, abbiamo imparato a parlare ma usiamo il linguaggio per quello che è, a tutti gli effetti, un monologo scagliato contro i muri dell’Universo. La natura non parla la lingua che ci siamo inventati.
Vi saluto con un paio di mostre che un po’ sorprendono e un po’ vi aiutano a ricostruire un dialogo, o almeno un pensiero, che sia fatto con e non su.
La prima è Pastorale, di Nico Vascellari, a Palazzo Reale, Milano (ingresso gratuito). La seconda è Flowers - Dal Rinascimento all’Intelligenza Artificiale, presso il Chiostro del Bramante, Roma (a pagamento, credo 19 euro).
Spero sia stata una lettura piacevole e utile. Breve, lo so.
Mia